JEREZ DE LA FRONTERA febbraio 2
Cara Valeria, ecco Jerez.
Ci siamo fermati nell’area di sosta per fare benzina. Abbiamo
mangiato luccicanti fragole rosse, banane dolci e mature. Negli occhi le distese
immense delle pianure verso Jerez, verdi spazi luminosi, prati di smeraldo al
sole di febbraio, e spazi marroni carichi di sementi, delimitati da un sistema
di irrigazione che definisce labili confini in queste infinite terre coltivate,
spazi interrotti da trattori che sollevano una leggera polvere, e camminano
apparentemente lenti sull'immensa terra. Appaiono così piccoli, e così
minuscoli al pensiero della terra stessa. Siamo a Jerez, un dedalo di vie al
centro della cittadina, dove si respira aria di Spagna, forse
più di tutte le altre, fino ad ora. Cerchiamo l'albergo, i vicoli risuonano delle "male parole" di Antonio. E' estremamente difficoltoso raggiungere il
garage annesso all'hotel, fra sensi unici ed aree pedonali, finché Antonio non
scende dall’auto e si mette alla ricerca del posto. Incontra una giovane
fanciulla che gli fornisce tutte le informazioni del caso, ed alla fine sorridendo
gli chiede : “ ma tu sei solo qui? “ .
Al chè momento di incertezza, immagino, perché io seguo un
racconto, il racconto di Antonio, il racconto viene da lui. Il momento di
incertezza, dunque, che conta un'avventura possibile, ma appena dopo, una
risposta certa. Perché l’ebbrezza di questa cittadina sta anche in quella
domanda, ed in quel sorriso, l'ebbrezza della città sta nel garage introvabile, un garage che sembra una specie di antro delle streghe, stretto e buio,
con pavimentazione ammalorata e sbiega, piena di dossi, non artificiali. Riusciamo
alla fine a risalire dall’antro al piano della luce. Ci stiamo chiedendo : “… ci
sbatteranno fuori visto che siamo italiani e portatori sani di virus? “
L’ebbrezza di questa città, il profumo dei fiori d'arancio,
passeggiando sotto gli alberi dei viali. Ed il giorno dopo l’ebbrezza del profumo
delle botti di cherry, delle cantine del Tio Pepe, e l'odore del vino che
fermenta qui dentro, in silenzio, nell’enorme cantina, piena di botti antiche
che raccontano storie di viandanti eccellenti, venuti fin qui per porre il
proprio nome sulla facciata di una botte. L’ebbrezza del sapore dello cherry,
dolce o secco, non importa, il profumo ed il sapore, qualcosa di unico, che
provoca la nostalgia appena sei fuori dalla cantina, ma fuori ci sono le
zagare, il profumo intenso, fortissimo. L’ebbrezza, nella testa il sapore del
TIO PEPE, del Croft, vino dolce inebriante, le immagini di viti gigantesche, i
tronchi di decenni che si arrampicano da anni e anni su ampi e immobili
pergolati.
Entriamo nella chiesa di San Michele, San Miguel, all’interno
il Cristo sulla croce, una croce che è appoggiata a mezza altezza sopra un
altare coperto di velluto scuro. Il Cristo in croce, grappoli di fiamme che
escono dalla testa, dalla sua corona di
spine, fiamme che si dividono, fiamme dorate che si propagano verso l’alto,
intorno un moto di adorazione, le persone in adorazione, i custodi, vestiti con
abiti storici, abiti di velluto con i bottoni dorati, guardano attenti la
rappresentazione.
Dietro la croce, la Segnora, la madre del Cristo, con un’aureola
dorata, grande, imponente, lacrime di sangue che scorrono sulle sue gote di
fanciulla, è vestita di oro e di azzurro, sorregge corone del rosario fra le
mani, ai piedi una grande luna d'argento, uno spicchio di luna, con due stelle, sulle punte
della luna. Lei che tutto comanda, assiste con le sue lacrime di sangue al
sacrificio del figlio.
Accanto all’ingresso della chiesa, la Cappella delle Anime. Uno
schema insolito, San Miguel al centro, sul suo scudo la figura del Cristo, a
lato del San Miguel, dalla porta di una piccola stanza si affaccia San Pietro, tenendo
in mano le grosse chiavi, in basso i dannati, coloro che hanno peccato
grandemente, i loro corpi affondano nelle fiamme, ma salendo, avanzano nubi
piene di speranze, e di uomini salvati dall'amore e dalla pietà, per salire
ancora più in alto, nel cielo profondo e infinito, dove le nubi sono più
pesanti e colme della presenza del divino. Nella chiesa gli stili si fondono. E’
un crogiolo di stili, ma l’insieme è comunque armonico, all’esterno si solleva
la testa e lo sguardo, e si osserva la degradazione della materia, sembra che la
materia si stia disgregando, ma resta la bellezza anche nella degradazione, negli
elementi architettonici diversi e fusi insieme, la bellezza di forme non più
definite, dove i visi e gli abiti non hanno contorni, abiti dove le pieghe
cadute, non lasciano trasparire più quello che c'è sotto. E’ ebbrezza anche la
degradazione, affascinante lascito di epoche confuse, che si sono succedute,
lasciando ognuna un impronta.
La cattedrale di Jerez è stata vista solamente da fuori. Sulla facciata, a metà altezza, sporge il Cristo
Salvatore, appena sotto, il manto in movimento della Madonna, mentre in alto il
Padre, che siede nei cieli infiniti, e domina la Cattedrale.
Al ritorno, nel pomeriggio, proviamo ad entrare in un locale,
buio, dove si canta con chitarre e si battono le mani, ed il fumo ti avvolge, la
semioscurità ti impedisce di vedere i particolari. “Luogo di perdizione”, dice
Antonio, siamo sommersi dalle sensazioni di gente che sta aspettando altra gente, forse
per perdersi, forse ha ragione Antonio, ma nella semioscurità si scorge la vita che
scorre, un’altra caverna piena di streghe.
A cena. Nel locale dove abbiamo cenato, il cibo è buono e
saporito, la paella si presenta come una deliziosa mescolanza di sapori, le donne che vediamo sono straordinariamente
belle, i capelli sacrificati in uno cignon basso, le spalle diritte, gli occhi
scuri e profondi, spesso sole, e, se accompagnate, sicuramente da uomini non
all'altezza.
La mattina si fa colazione al bar, con pane, formaggio,
prosciutto, latte e caffè espresso. E l'olio sul pane è favoloso. Oggi si va
alla ALCAZAR, alla fortezza.

La Mezquita. La piccola
moschea all’interno della fortezza. E’ bellissima, un pavimento rosa, con
alternate mattonelle, piccole, verdi, che punteggiano il pavimento, un incanto.
Le mattonelle circondano una fontanella interna, in basso, a livello del pavimento, una semplice,
pura, fonte, acqua limpidissima, sorgente di fede unica. Forse è questo il
significato, le mura sono nude, i colori caldi, quasi rosa, quasi giallo, colori pallidi, non sembra una grotta, ma un luogo accogliente, pieno di luce
che scende dal soffitto, e si propaga intorno, e ti avvolge in silenzio, sfiora
gli archi islamici, si insinua in ogni angolo donando luminosità, è un luogo di
pace e di serenità, un luogo piegato alla fede, ad un’altra fede, l'altare è in
maiolica azzurra, gli inserti sono verdi e bianchi, ai lati sporgono due
maioliche con le figure del leone e della fortezza. Più in alto, sul muro dietro
l’altare, due spazi con una preghiera cristiana, una preghiera che stona, un
ringraziamento, nel ricordo di una riconquista, “Ave Maria, Gratia plena”. Una
moschea dedicata alla Vergine Maria, una moschea trasformata in cappella, ma
l’incanto che avvolge chi la visita viene da molto più lontano, viene dalla
fede di altri uomini, e l’incanto sprofonda nelle menti di coloro che hanno il
coraggio di abbandonarsi. E poi il giardino esterno, con le fontane
simmetriche, una in particolare a forma di stella a 8 punte, in basso, sempre a livello della pavimentazione, semplice acqua, con uno zampillo centrale, l'acqua
che scorre leggera verso e dentro i piccoli canali, che sembrano appena bagnati e brillano al sole, e leggera
l'acqua si muove ed attraversa tutto il giardino. Accanto al giardino, i bagni
Arabes, si scende in basso attraverso una scala stretta e profonda, le stanze
sono piccole, hanno un soffitto a volte, sono però altissime, e lì in alto i fori,
buchi a forma di stella che illuminano gli spazi interni, spazi che in tal modo divengono
visibili, e luccicano di giorno con la luce del sole e di notte con la luce
della luna. Sono semplicemente meravigliosi, è un luogo incantato, per sognare,
non solo per fare semplici abluzioni. La vita viene sollevata da questa luce e
da queste stelle, il luogo è un incanto, è un luogo meraviglioso.
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